Me lo chiedevo da qualche anno: com’è possibile che nessuno ci abbia ancora mai pensato, finora? E mi rispondevo: perché, ammettilo, è un po’ una str... una banalità abbinare Brian Eno e il vino, approfittando del fatto che il prefisso derivato dal greco ôinos, vino, si scrive esattamente come il cognome del più musicista fra i non-musicisti.
Sarà venuto in mente a tanti, ma tutti si saranno detti: è proprio una str... appunto, una stupidata. Però, vedete, io sono fatto così (sono fatto male, lo so): quando un titolo mi piace, voglio riempirlo di qualcosa. E ho cominciato a pensare che una rilettura strumentale acustica o semiacustica delle canzoni di Brian Eno sarebbe stata il perfetto complemento per assaggi di vini nelle cantine, nelle enoteche, e insomma dovunque il vino sia apprezzato anche come fatto culturale oltre che come bevanda consolatoria, gratificante, inebriante (“nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus”: non scrisse così Orazio? e prima di lui Alceo non aveva scritto “nun kré mezistén”, “ora bisogna ubriacarsi”?).
Insomma, come spesso mi capita ho cominciato a cercare giustificazioni e complici. Il primo complice l’ho trovato in Oderso Rubini: uno che quando gli racconto qualche str... stupidata delle mie non mi manda al diavolo (non immediatamente, almeno). E Oderso mi ha segnalato una banda di matti - la banda di musicisti matti che suona in questo disco. Per via di giustificazioni, frugando qua e là ne ho trovata una meravigliosa, che quasi non ci credevo: ho scoperto che Stafford Beer, studioso londinese e teorico della cibernetica scomparso nel 2002 il cui “dynamic model of non-hierarchic self-organisation” era molto apprezzato appunto da Brian Eno, aveva pubblicato nel 1994 una ponderosa raccolta di saggi e scritti intitolata “How Many Grapes Went into the Wine”.
Serviva un sottotitolo colto e intellettuale, per far accettare un titolo costruito su un banale gioco di assonanze fonetiche? Trovato! Il resto è andato da sé: la scelta dei pezzi, tutti tratti dai primi quattro dischi da solista di Brian Eno (quelli più “canzoni”, in genere), le prove, e finalmente questo disco.
Sono contento che esista, questo disco. Non trovate anche voi che il titolo e il sottotitolo siano bellissimi? (anche la musica, certo, come no? ma sapete, io di musica ne capisco poco...)”
Franco Zanetti
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GALLERY
PENSATEVI LIBERI
...LA MOSTRA, CURATA DAL "BAFFO AL QUALE DOBBIAMO TANTO" ODERSO RUBINI E DA ANNA PERSIANI, E’ RIUSCITA NELL'INTENTO DI EVOCARE ANNI DI ECCITAZIONE VERA, QUANDO IL FUTURO ERA ANCORA UNA COSA SERIA. IL SOTTOTITOLO E’ FUORVIANTE (IL 99% DELLA PRODUZIONE UNDERGROUND DI QUEGLI ANNI E’ FUORVIANTE, GRAZIE AL CIELO). TRE COORDINATE: BOLOGNA, ROCK, 1979. II FOCUS E’ SU UN LUOGO FISICO E UN ARCO DI TEMPO CIRCOSCRITTO, DICIAMO DAL 77.ALL'85, MA DA LI’ PARTE IL VIAGGIO. DISCHI, CASSETTE, FANZINE, RIVISTE, MANIFESTI, I PRIMI VIDEO, TRENINI ELETTRICI, BULLONI, SANTINI, SCOLAPASTA TUTTE COSE CHE HANNO UNA FORMA, UN VOLUME E UN PESO, INGIALLITE IN SUPERFICIE DA UN TEMPO DEL QUALE SI FANNO BEFFE. DENTRO, NUOVE DI ZECCA. IL MONDO È QUELLO DI SKIANTPS, GAZNEVADA, CONFUSIONAL QUARTET, WINDOPEN, STUPIT SET, DELL'HARPO'S BAZAAR, DELL'ITALIAN RECORDS, DI PATTI SMITH AL DALLARA E I CLASH IN PIAZZA MAGGIORE, DI RADIO ALICE, LA TRAUMFABRIK, IL CONVEGNO SULLA REPRESSIONE, L'OMICIDIO DI LORUSSO, DEL TRENO DI JOHN CAGE E DI ELECTRA1 ALLA MANIFATTURA TABACCHI, E DEL BOLOGNA ROCK AL PALASPORT DI PIAZZA AZZARITA, OVVIO: 2 APRILE 1979, 6000 PERSONE INFEROCITE DI FRONTE A FREAK E SOCI CHE CUCINANO LA PASTA SUL PALCO, PERCHE’ "QUESTA E’ AVANGUARDIA, PUBBLICO DI MERDA". IMPENSABILE, NELL'UNDERGROUND NORMALIZZATO DI OGGI...
#LUCA FRAZZI/RUMORE/2019
ANNI 80. IL SISMA DELL'ITALIAN WAVE
L'EPICENTRO FU BOLOGNA, POI TOCCÒ A FIRENZE. DA LI' IN AVANTI IL BOOM CONTAGIO' TUTTO IL PAESE CREANDO UNA SCENA ORIGINALE. ECCO I DISCHI DEI PROTAGONISTI